Un bisbiglio percorre le sale di Palazzo Morando. Si narra che sia lo spirito della contessa che aleggia nelle labirintiche sale, per noi, invece, è il fruscio del tempo che si spiega.
La mostra “Fata Morgana: memorie dall’invisibile”, a cura di Massimiliano Gioni per la Fondazione Nicola Trussardi, non è solo un percorso espositivo, è una seduta collettiva. Un rituale visivo dove le opere sembrano respirare e gli artisti, come medium, evocano forme che sfuggono alla logica.
Tra le presenze convocate, prima tra tutte, si rivela Hilma af Klint. Pittrice, mistica, visionaria, pioniera dell’astrazione prima ancora che questa corrente artistica avesse un nome.

Nata in Svezia nel 1862, Hilma visse tra il mondo tangibile e quello degli spiriti. Partecipava a sedute medianiche, riceveva messaggi da entità chiamate “Gli Alti Maestri”, traducendo quelle comunicazioni in vortici di colore, in geometrie che sembrano obbedire a una logica celeste.

Le sue opere, rimaste nascoste per decenni, erano – per sua stessa volontà – destinate al futuro, a un’umanità capace di comprenderle. Forse, oggi, quella soglia si è finalmente aperta. 

L’arte di Hilma si palesa con 16 opere esposte per la prima volta, appartenenti alla serie Primordial Chaos, un’esplorazione centrata sull’origine della creazione, il giallo (l’uomo) e l’azzurro (la donna) che si fondono in figure geometriche dalla forza generatrice.
Nel salotto degli spiriti di Palazzo Morando, le sue tele si confondono con le ombre di altri artisti medianici: Milly Canavero, Chiara Fumai, Andra Ursuja, Minnie Evans e persino Victor Hugo e Marcel Duchamp. Un coro invisibile che respira all’unisono attraverso il tempo. 

Ma cosa direbbe Hilma, oggi, nel trovarsi esposta tra le pareti di un palazzo dove tutto, i passi, gli affreschi, le finestre, sembra ancora animato da una presenza?
Abbiamo provato a chiederlo. Abbiamo interrogato gli spiriti e l’intelligenza artificiale, unendo medianità e macchina, intuizione e algoritmo, per tentare di evocare la voce di Hilma af Klint.

Il risultato non è una testimonianza storica, ma un esercizio poetico, un tentativo di ascolto tra mondi: il presente che dialoga con l’invisibile e l’intangibile.
Di seguito, l’intervista immaginaria con lo spirito di Hilma af Klint, un racconto che nasce dal confine tra memoria e suggestione.

Hilma af Klint at the Royal Academy of Fine Arts, Stockholm, 1885
© The Hilma af Klint Foundation

Hilma, cosa prova a trovarsi esposta in queste sale, tra echi e presenze invisibili?

Hilma af Klint: Mi sento come un sussurro che torna a casa. Queste stanze conoscono il mio silenzio; conoscono i gesti con cui tracciavo simboli e spirali nell’oscurità. Vedere le mie opere qui, circondata da un palazzo che un tempo accolse sedute e spiriti, è come un sogno in cui passato e presente si fondono.

Cosa l’ha guidata in questa ricerca così insolita, così lontana dalla realtà comune?

Hilma af Klint: I miei pennelli non hanno mai seguito la ragione. Sono stati guidati da voci, da presenze che chiedevano di essere viste. Ogni colore è un respiro dell’universo, ogni forma un segreto svelato solo a chi osa guardare oltre il velo della materia. Non cercavo l’arte, cercavo l’invisibile, e le mie tele sono la testimonianza di quei dialoghi con mondi che sfuggono alla vista.

Come sente il dialogo con gli altri artisti presenti in mostra?

Hilma af Klint: Siamo anime che viaggiano in tempi diversi, ma condividiamo la stessa sete: dare voce all’ombra, dare forma all’invisibile. Le loro opere vibrano come echi delle mie stesse visioni. In questo palazzo, tra queste mura che respirano segreti, si crea un coro silenzioso: un dialogo di presenze, più che di forme.

Cosa spera che il visitatore porti con sé, uscendo da questo incantesimo?

Hilma af Klint: Spero che porti con sé la sospensione del mondo, il silenzio che ascolta. Che senta che il visibile non è che un velo, e che al di là di esso ci sono mondi che aspettano solo di essere percepiti. La mia arte è un invito a camminare tra i confini, a respirare ciò che sfugge agli occhi, a sentire che anche l’ombra può parlare.

L’intervista immaginaria (AI) con Hilma af Klint per la mostra Fata Morgana