Ottobre è il mese dei brividi, ma non sempre arrivano da ciò che vediamo. A volte bastano quattro note per farci sobbalzare. Violini striduli e frenetici, bassi che da lenti si fanno sempre più incalzanti, suoni cupi che si insinuano nell’aria. Tutti stiamo immaginando un momento di tensione, un brano che ci ha fatto rabbrividire, una scena di un film horror. Alcuni suoni, più di altri, restano impressi perché ci hanno fatto provare paura. 
Come fa la musica a creare l’emozione della paura?
Perché una precisa combinazione di suoni, di note, può farci sobbalzare più di un’immagine? Parliamo della psicologia della musica horror.

Come la musica influenza le nostre emozioni

Ormai, nel pieno del XXI secolo, al di là della quantità enorme di studi condotti in ambito musicale, psicologico e neurofisiologico, abbiamo tutti acquisito la consapevolezza che la musica influenza le nostre emozioni e, di conseguenza, il nostro corpo. Il battito cardiaco può accelerare o rallentare, l’attività gastrica può aumentare con melodie calme e diminuire con musiche tese o dissonanti. Anche il respiro e la tensione muscolare si adattano al ritmo e alla densità sonora. Tutto ciò accade perché la musica agisce sui nostri sistemi di arousal, cioè sul livello di attivazione psicofisiologica.

Gli elementi musicali della musica horror

Tra gli elementi musicali (tipici della musica horror) che determinano queste risposte fisiologiche c’è prima di tutto il tempo: non a caso è una delle indicazioni più usate dai compositori. Un tempo lento tende a calmare, mentre uno rapido aumenta l’ansia e la tensione. Anche la complessità armonica e ritmica ha un ruolo importante, infatti, musiche troppo dissonanti o con ritmi irregolari vengono spesso percepite come sgradevoli, perché sfidano le nostre aspettative e la nostra percezione di equilibrio.

La paura musicale, quindi, è anche una questione di previsione, aspettative e ricompensa. Il cervello rilascia dopamina quando i suoni che attendiamo armonicamente si verificano, e ancora di più quando la musica gioca con l’attesa, creando momenti di sorpresa o di tensione. Di fronte a suoni che non rientrano nei nostri modelli percettivi — dissonanze, rumori, armonie instabili — subentra l’ansia: la perdita di prevedibilità genera una forma primordiale di paura. Ci sentiamo agitati, quasi come se davanti a noi ci fosse davvero un pericolo.

Un esempio magistrale di musica horror è la scena della doccia in Psycho. Alfred Hitchcock, inizialmente, non voleva musica. Ma il compositore Bernard Herrmann insistette e scrisse quelle quattro note stridenti per archi che oggi sono diventate leggendarie. Senza quella musica, la scena non avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo. Quelle note semplici, ma spietatamente efficaci, amplificano la tensione più di qualunque immagine cruenta.

Compositori e registi sfruttano timbri, intervalli e dinamiche per costruire atmosfere capaci di guidare lo spettatore, modulando attenzione e aspettativa. La musica è infatti uno strumento ampiamente usato nell’arte per coinvolgere, suscitare emozioni e creare tensione, meraviglia o sospensione. Purtroppo, la stessa forza emotiva può essere impiegata in modo negativo: in contesti di guerra o detenzione, suoni e melodie sono stati deliberatamente utilizzati per disorientare e aumentare lo stress dei prigionieri.

In fondo, la musica spaventa perché parla direttamente al corpo prima che alla mente. Il nostro corpo, così come la musica, è fatto di equilibri, regole e meccanismi, in poche parole è armonico. Basta un suono fuori posto, un ritmo che accelera, perché qualcosa dentro di noi si incrini: il familiare diventa estraneo, e da quella crepa nasce la paura. E forse è proprio lì, in quella perdita momentanea di controllo, che si nasconde il fascino più profondo della paura sonora e la continua evoluzione della musica.

La psicologia della musica horror